Reuters

L’Olimpiade di Rio 2016 sta arrivando, tra polemiche e aspettative, ma sicuramente il vincitore sarà solo uno: lo sport.

Ma quest’anno ci sarà anche una vera prima da brividi: cinque atleti del Sud Sudan, della squadra di atleti olimpici rifugiati (composta in tutto da 10 atleti), faranno il loro esordio a Rio e proveranno a contribuire agli sforzi per portare la pace nel loro paese distrutto dalla guerra. Tre uomini e due donne, tutti in gara nell’atletica, sono stati selezionati nei campi dei rifugiati in Kenya, in particolare a Dadaab e Kakuma. Sfileranno alla cerimonia inaugurale sotto la bandiera del Cio, e poi correranno per la pace.

Dopo lunghe settimane di allenamento, ora finalmente c’è Rio.

La squadra si è allenata bene sulle colline di Ngong (vicino a Nairobi), spero arrivino buoni risultati a Rio” ha dichiarato la capo missione, la keniana Tegla Loroupe, due bronzi mondiali nei 10.000 metri in bacheca. In comune i cinque sud sudanesi, oltre al talento, hanno l’origine: fanno parte di famiglie fuggite dalla guerra civile in Sudan, culminata con la dichiarazione d’indipendenza del 2011. Nessuno di loro ha vissuto nel Sud Sudan indipendente, tutti hanno in mente la guerra civile e le atrocità che hanno colpito il Paese dopo il 2013. “E’ talmente triste vedere che il nostro Paese è tornato indietro, invece di progredire” sostiene James Nyang Chiengjiek, che parteciperà ai 400.

L’obiettivo è solo uno: portare un messaggio di pace e speranza attraverso la maggior manifestazione sportiva del mondo.

La capitale del Sud Sudan, Juba, a luglio è stata sede di nuovi scontri e esecuzioni che stanno mettendo a rischio il fragile accordo di pace siglato nel 2015. “Spero che i nostri dirigenti possano trovare ispirazione dalla nostra partecipazione ai Giochi per portare la pace al nostro popolo, perché lo sport è stato a lungo considerato come un fattore di unità” continua James.

Un altro atleta, Piech Bur Biel, è fuggito dal Sud Sudan con la madre e i fratelli nel 2002, quando aveva 7 anni. Rifugiato nel campo di Kakuma (ci vivono 200 mila persone), non ha più rivisto il padre. “Non sarò un buon corridore, ma il mio dovere è tornare a casa e far crescere nuovi talenti”. Dopo gli 800 olimpici, ha intenzione di tornare a Malakal, città a nord del Paese, colpita duramente dalla guerra civile che oppone le truppe del presidente Salva Kiir a quelle del suo vice, Riek Machar.

Gli atleti si sono allenati sulle colline di Ngong e hanno poi trascorso due settimane in altura, accanto ai migliori keniani. “Non è stato facile prepararli e far capire loro che potevano essere buoni atleti” ha detto il loro allenatore, Joseph Domongole. “E’ stato un privilegio mangiare ed allenarsi con atleti tra i migliori del mondo, ora abbiamo più fiducia in noi stessi, non avremo paura” conferma James.

Al di là dei risultati olimpici, l’allenatore spera che possano ricoprire un ruolo di “ambasciatori per la pace” al loro ritorno a casa.

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