E’ il 2 ottobre 1977, l’Italia guarda con interesse verso gli USA, a Watkins Glen si disputa la terzultima gara del campionato mondiale di F1 e la Ferrari di Niki Lauda sta per laurearsi campione del mondo con due gare d’anticipo.
Potremmo poi anche ricordare un secco 3 a 0 per la Lazio contro la signora Juve in uno stadio olimpico gremito di 65.000 spettatori, roba d’altri tempi …
Torniamo però a guardare verso Ovest, verso quegli Stati Uniti così lontani, ma da quel giorno ancora più vicini per tutti noi. Un giorno come tanti, un giorno che entra nella storia per puro caso.
Siamo al Dodger Stadium di Los Angeles, li si gioca il baseball che conta, quella MLB mai doma che cerca sempre di sorprendere e mettere il timbro negli annali.
La squadra di casa dei Dodgers gioca l’ultima partita della stagione contro gli Houston Astros. Molto bassa la posta in palio: i Dodgers infatti, fuori dai Playoff, potrebbero essere paragonati a una squadra di media classifica della nostra serie A di calcio a 3 giornate dal termine, senza possibilità di qualificarsi per una competizione europea e senza rischio di essere retrocessa. Zero stimoli, nessun obiettivo.
In realtà la storia qui inizia a sorprendere, perché c’è un record da scrivere: I Dodgers possono essere la prima squadra nella storia della Major League Baseball (la più importante lega professionistica al mondo di questo sport) ad avere quattro battitori con almeno 30 fuoricampo ciascuno.
“Chissené!” per molte di noi, ma non per i giocatori della MLB, ben decisi a non farsi sfuggire questo obiettivo.
E non sfuggirà.
A un certo punto del match, dopo Ron Cey, Steve Garvey e Reggie Smith, mancava soltanto Dusty Baker: lancio di J.R. Richard degli Astros, Baker ribatte e realizza il suo trentesimo fuoricampo. Tutto lo stadio esulta come se i Dodgers avessero appena raggiunto i playoff.
Ed ecco che entra in gioco King Kong, come in uno dei migliori Peter Jackson che conosciamo.
Immaginatevi di essere come Dusty Baker, correte verso la panchina per esultare, la gioia è irrefrenabile, portate sulle vostre spalle lo stadio intero e volete farlo saltare tutto insieme per fargli toccare le nuvole, e poi il sole, e poi il cielo intero. Siete incontenibili, sappiamo come nello sport la vittoria è solo uno dei momenti che possono regalare istanti indimenticabili.
Il primo a correre verso Baker è un omone dall’incredibile forza e con una grande corporatura, un grosso esterno di ruolo di nome Glenn Burke ma soprannominato appunto King Kong.
Burke accoglie Baker sollevando il braccio destro in alto con la mano aperta.
Non avevo idea di cosa fare così gli ho schiaffeggiato la mano. Mi sembrò la cosa più giusta da fare
Non avendo idea di cosa fare, Baker rispose prima cercando di afferrare la mano, salvo poi lasciarsi guidare dall’istinto e rispondere alzando egli stesso il braccio con la mano aperta e battendo la mano al compagno Burke.
Nacque così un gesto immortale, l’High Five, dopo essere stato adottato dai Dodgers come segno distintivo, entrò da quel momento nell’uso comune di tutto il mondo come un simbolo di scambio di reciproca intesa e felicità, un modo universalmente riconosciuto per complimentarsi e gioire insieme.
Esistono anche altre teorie e opinioni sull’origine e la storia di queste gesto, alcune credibili altre meno, ma a noi piace questa, da veri sportivi è la nostra storia preferita. Perché lo sappiamo, lo sport sorprende. Sempre.